Nuova città, nuova routine.
Se hai vissuto al di fuori del luogo che ti ha dato i natali, per un periodo minimo di tre/quattro mesi, capirai cosa intendo.
L’anno scorso, in quest’epoca, erravo per le vie di Padova come i bambini all’IKEA che da sconsiderati avventurieri impassibili agli avvertimenti genitoriali, si trasformano in creature mitologiche metà umane e metà conigli in lacrime. Ma lì nessuno richiamava la piccola Alice all’altoparlante, così decisi di crearmi piccoli rituali per una parvenza di normalità. Due in particolare hanno riempito le mie giornate.
La vicina impicciona.
Sul ballatoio della casa di Padova viveva una signora anziana il cui colore preferito era facilmente deducibile: indumenti viola, scarpe viola, accessori viola e trucco viola; persino la tinta anti-giallo le regalava una sfumatura lavanda ai capelli. Viveva con il marito allettato e i figli ex tossici, la mattina presto usciva sul balcone per aprire il cancello automatico al Ragazzo Economista, e ci teneva a condividere con me i segreti per tenersi stretto un uomo.
E poi c’ero io, la vicina impicciona. Lo so che “chi si fa i fatti suoi campa cent’anni”, ma sono una persona semplice, mi accontento di novanta – dieci me li prendo di resto in chiacchiericci.
Comunque sia, la casa in cui abbiamo vissuto era condivisa con un ragazzo siciliano di trent’anni, professore nell’Istituto Tecnico di fronte casa di giorno, rapper nella sua cameretta padovana di sera.
Nel resto della giornata diventava protagonista della telenovela in onda a pochi metri dalle mie orecchie: lui, fidanzato con una gelosa concittadina siciliana, vince il concorso per un semestre di supplenza a Padova dove affitta una camera.
In due settimane conosce una ragazza veneta asfissiante, che lo porta ad un allontanamento dalla fidanzata siciliana.
L’asfissiante veneta vorrebbe presentarlo alla madre malata nonostante le possibilità che il suo ex geloso la scopra sono alte, ma lui non se la sente – le rime alternate gli occupano intere serate.
I sei mesi volano tra strillate in dialetto siciliano ed estemporanee sedute di psicoterapia con la veneta che gli faceva da colf (e taxista, e mamma, e intrattenitrice).
Le nostre strade si sono poi divise, ma dagli aggiornamenti forniti al Ragazzo Economista sappiamo che lui è tornato insieme alla fidanzata possessiva, e non trovando lavoro in terra sicula ha deciso, per salvare il rapporto, di non lavorare. Voci di corridoio insinuano un possibile arrivo in terra sabauda…
Ristorante indiano.
Tripadvisor è stato il mio migliore amico nel periodo padovano: aprivo l’applicazione, filtravo con il singolo “€” per ottenere le bettole più economiche, e partivo all’arrembaggio pronta a sfoderare il blister di Imodium.
E’ così che ho scoperto la rosticceria Indiana Garhwal, in pieno quartiere universitario. Dopo aver constatato la salubrità del cibo in presenza di Ragazzo Economista automunito (gli attacchi di colite non vanno d’accordo con le passeggiate), decisi di trascorrere uno dei miei tanti pranzi in solitaria al ristorante indiano. Dopo una passeggiata in centro di quattro chilometri sotto un sole aggressivo, fu piacevole entrare nel locale arieggiato. L’odore di cumino e cardamomo si mescolava con quello del bastoncino d’incenso, il cui fumo veniva spinto dalla corrente fuori dal locale, profumando l’aria fresca dei portici.
Ordinai 4 samosa (avanzandone una da portare al Ragazzo Economista), del chapati accompagnato con dahl di lenticchie e verdure miste in umido.
Ero soddisfatta del pranzo solitario (di cosa scrivevo l’altro giorno?) ma non avevo tenuto conto dell’effetto sauna generato dalle spezie: i due chilometri a piedi per tornare a casa, risultarono come venti vasche olimpioniche dopo il pranzo di Natale, e sono quasi certa che le rampe per raggiungere il terzo piano, per un attimo abbiano assunto l’inclinazione delle Dolomiti.
Ma senza locale indiano e impiccionaggine, Padova non sarebbe stata la stessa.
Tutto questo per arrivare al dahl di lenticchie, una delle ricette più semplici che conosca. Andrebbe cucinato con le lenticchie rosse, ma quando non ne ho le sostituisco con quelle verdi o nere, secche o decorticate – cambiano solo i tempi di cottura.
Ingredienti per 2 persone affamate
- 200 g di lenticchie (vedi le note)
- 650 ml d’acqua (lenticchie decorticate) o 2 l (lenticchie secche)
- 2 cucchiaini di curcuma
- 1 quadratino di zenzero di circa 2 cm
- 5 cucchiaini di cumino
- mezza cipolla piccola
- olio
- sale
In una pentola metti le lenticchie con l’acqua e porta ad ebollizione; se si dovesse asciugare prima della cottura (ovvero quando si sfaldano), aggiungi un goccio d’acqua.
In una padella versa un bel giro d’olio, taglia a fettine sottili la cipolla e accendi il gas a fiamma media. Quando inizia a sfrigolare aggiungi la curcuma, il cumino e lo zenzero (grattugiato se ti piace, altrimenti lascialo intero).
Fai soffriggere per un paio di minuti, aggiungi poi le lenticchie e il sale mescolando bene.
Alcune note
Le lenticchie rosse cuociono in una decina di minuti, quelle verdi o non decorticato necessitano di molto più tempo.
Le lenticchie in lattina sono la soluzione ideale quando sei di fretta: scoli, sciacqui e fai bollire in 650 ml d’acqua.
La consistenza dipende, oltre dal tipo di lenticchie (le mie erano rosse secche e rimangono più integre), anche dalle tue preferenze: se dovesse risultare troppo asciutto aggiungi un po’ d’acqua, se le vuoi più cremose frullale appena.
I semi di cumino nero li preferisco al cumino in polvere, peccato non li trovi più. Se li hai provali e vedrai (riduci però la quantità a 1 o 2 cucchiaini)!
gynepraio says
Alice, i semi di cumino li trovi al Negozio Leggero!
Alice says
Grazie Valeria, il Negozio Leggero è persino più vicino del bazar cinese dove li compravo a Porta Palazzo!