E un altro riassu-mese è arrivato….
Archives for Maggio 2016
Le ricette sciagurate: chili vegano.
Cos’hanno in comune la cucina indiana e il chili?Nulla, che io sappia. Se non che dopo essere stata in un ristorante indiano, meritevole di ogni positivo superlativo assoluto, sono stata vittima di un’implacabile voglia di chili.
E se qui a Padova siamo carenti di pentolame, ci rifacciamo con una dispensa carica di legumi e cereali della quale Kayla Itsines sarebbe fiera – sorvoliamo che si tratti di barattoli.
Cos’abbia innescato la reazione cibo indiano-cibo messicano non lo so, ma credo che una latente voglia di viaggiare possa essere la colpevole….
Le ricette sciagurate: torta salata in padella, senza forno.
Le ricette sciagurate sono quelle ricette che istigherebbero Gordon Ramsey ad amputarmi le mani nel nome della Divinità del Soffritto….
Racconti di viaggio: Madrid e l’ostello per incontri occasionali.
Primo viaggio organizzato in completa autonomia. Di solito ci troviamo
tutti quanti insieme; con le idee di uno e i dubbi dell’altro riusciamo a prendere
scelte giuste di comune accordo.
e mi conosco: meglio che sia io a prendere le decisioni più importanti,
eviteremo un mio eventuale rinfaccio.
con 9€ a testa ci promette una camera piccola ma confortevole. Non so quale sia
nelle foto, ma all’apparenza risultano tutte curate e luminose, contando anche le recensioni positive e la posizione – a una decina di secondi a piedi da Gran Via e sei minuti da
Puerta del Sol– penso di aver fatto un buon affare.
ho infranto uno dei punti principali del codice del buon viaggiatore: mai
indossare scarpe nuove alla partenza.
attraversiamo la strada nel traffico di fine giornata, e in pochi secondi ci
troviamo in Calle De Hortaleza. Un paio di visi loschi sono fermi vicino al nostro civico, e l’istinto fa tornare alla mente le parole con cui ci aveva messo in guardia la
sorella del Ragazzo Economista, che a Madrid ci ha vissuto qualche anno.
una bellissima zona, quella”.
irritano la mente, e suoniamo.
illeggibili fatti con la bomboletta, scatta, aprendosi sul nero profondo.
Impiego un attimo per mettere a fuoco il piccolo atrio buio; l’unica cosa che
distinguo con facilità è l’odore di cibo misto ad umidità. Il tepore di agosto che
rivestiva la mia pelle è aggredito da un freddo appiccicoso, sempre più violento nell’avvicinarsi alle scale.
gradini in legno ricurvo, che ad ogni nostro passo rimbomba nella tromba con la
stessa intensità dei dubbi che mi martellano in testa.
sinistra.
di prima, ma più intenso e acre. Siamo in un piccolo ingresso dall’arredamento
sterile e privo del gusto più semplice. Di fronte a noi una macchinetta del
caffè rovinata, a destra un divanetto grigio e impolverato, sulla sinistra un
desk stancamente presidiato da un uomo sui 50/60 anni; indossa i pantaloni di una tuta, e una canottiera
bianca che lascia scoperto un crocifisso annegato in un mare irsuto. Ci saluta
asciugandosi una goccia di sudore che si getta lungo la testa nuda.
sorriso e proseguo chiedendo della nostra prenotazione, ma mi blocca
subito.
in spagnolo so contare fino a dieci, e dubitando che il testo della Macarena
possa aiutarmi, mando avanti il Ragazzo Economista che qualche frase sa metterla
insieme.
computer, ci fa pagare, afferra un mazzo di chiavi e attraversa il breve corridoio
che parte da quell’ingresso con temperature tropicali. Tutte le porte sono
fatte di legno e tinte di bianco; basterebbe un mio debole calcio per
sfondarle.
sulla destra, comincio a sentirmi confusa. Siamo in cubo rosa di tre metri per
quattro. La luce è fioca e il colore delle pareti la rende della medesima
tonalità. Un angolo del letto matrimoniale confina con una vasca ammuffita che sbuca da
dietro la porta. In fondo al cubo, il bagno è semi chiuso da un separè
scorrevole in plastica che non tocca né terra né soffitto.
in una bolla frastornata. Qui dentro fa freddo come nell’atrio del palazzo, e c’è
odore di muffa e di bagno pubblico.
Gli occhi si fanno spazio nella penombra
alla ricerca di uno sguardo rassicurante del Ragazzo Economista. Ma dai suoi sgorga un turbamento
che non mi aspettavo; così, senza sforzo, inizio a traboccare di lacrime. Un
abbraccio e le sue incerte parole di sostegno mi tranquillizzano.
mi scappa dall’aeroporto. L’idea di farla in questo cubo mi fa letteralmente
schifo, ma dovrò starci per altri cinque giorni, tanto vale scoprire cosa mi
aspetterà. Con l’unghia dell’indice faccio scorrere la plastica e mi accorgo che la
stanza finisce mezzo metro più in là: in pochi centimetri sono stipati un water,
un lavamani e una (e unica) finestrella di legno rotta. Cerco di
aprirla per cambiare l’aria pesante e irrespirabile, ma vengo investita da un
odore di liquame. La richiudo.
Tenendomi a distanza da ogni superficie, utilizzo il bagno e i miei
fazzolettini. Quando tiro la catenella un gorgoglio strano inizia a salire dal
water; mi giro, e noto che il livello dell’acqua aumenta vertiginosamente.
intasato. Con tre fazzoletti.
alla reception dove troviamo solo una ragazzina dai tratti sudamericani.
Le chiediamo dove sia l’uomo in canottiera, e con sicurezza ci indica la porta al fondo
del corridoio, quella accanto alla nostra.
Continuiamo così per una decina di minuti, fin quando l’uomo non esce seccato, intento
a tamponarsi la testa con un asciugamano di spugna. Gli spieghiamo l’accaduto
e sebbene ci parli solo in spagnolo, capiamo che non è cosa inusuale.
Scompare per qualche secondo nella sua stanza per uscirne con in mano uno sturalavandini.
Senza dire niente si dirige verso il bagno e comincia a trafficare con il water.
Il WC liberato dall’ingorgo produce un verso simile ad un rutto; l’uomo in canottiera
esce sorridente, lasciando lungo il tragitto gocce di acqua di scarico come Pollicino
con le molliche di pane.
vi sia una stanza meno claustrofobica, spiegandogli che la prenotazione è stata
fatta sulla base delle foto pubblicate sul sito.
che gli unici posti rimasti sono in una camerata sullo stesso piano. Poi, raccomandandosi di non fare complimenti se avessimo di nuovo bisogno dello
sturalavandini, si chiude la porta alle spalle.
boccata d’aria: non sono mai stata così contenta di riempirmi i polmoni di smog
e temperatura estiva; ma al pensiero di tornare in quel cubo di freddo, buio, umido
e tanfo scoppio a piangere. Il Ragazzo Economista propone di prendere gli
zaini e stare fuori fino a tardi; io faccio finta che quella soluzione non sia il
piano che avevamo comunque in programma, sperando così di ingannare la percezione del tempo trascorso là dentro.
famiglia marocchina composta da madre, padre e tre figli piccoli; vengono
accompagnati in una stanza che sarà poco più grande della nostra e, origliando,
scopriamo essere senza permesso di soggiorno.
accorgiamo che qualcuno ha spostato gli zaini posati su una piccola panca. Controllo ogni tasca. Non manca
nulla, ma senza troppi giri di parole capiamo di non voler passare il nostro
viaggio in quelle condizioni. Senza dubbi ci dirigiamo dall’uomo in canottiera
che continua a sudare nella sua postazione.
lo spagnolo elementare che prima riusciva a comprendere ora gli suona chiaro come l’ostrogoto. Mettiamo
mano al suo pc, apriamo Google Translate e, semplificando al massimo, gli
spieghiamo le nostre intenzioni.
la camera prenotata non corrisponde a nessuna di quelle pubblicate sul sito. Come c’è
scritto nel regolamento, le lasciamo i soldi della prima notte chiedendole
indietro quelli pagati all’arrivo”.
comune – che scopriamo essere il luogo in cui vive la ragazzina
sudamericana- ma decliniamo l’invito.
il cubo lasciandoci alle spalle Calle de Hortaleza.
ostelli, in pieno agosto, erano tutti al completo) e trovato il Petit Palace TresCruces dove i receptionist, colti da mera pietà, hanno scontato il pernottamento del 50% .
al corrente di un piccolo dettaglio: il proprietario della Pension Lemus non
era solo un receptionist sudato e sporco, ma anche un affittacamere ad ore
capace di fregare i turisti con foto irreali e recensioni false in tutte le
lingue.
pretendevi? Una stanza delle dimensioni di un cassetto, solo priva di muffa e odore di feci e urina (eravamo a Madrid, non a Timbuctù).
Il porridge d’avena vegano e non.
- alle superiori mangiavo un pacchetto di patatine – grosso – al giorno.
- sono capace di finire un intero pacchetto di patatine – grosso – da sola.
- alle superiori in un’ora libera mangiavo 1 pacchetto di croccantelle al bacon, 2 panini al salame, 2 Kinder Bueno con una lattina di Coca-Cola.
- fino a pochi anni fa ero solita mangiare i crackers spalmati di maionese.
- fino a pochi anni fa non era insolito venissi posseduta dallo spirito di un vecchio zio americano così cattivo da obbligarmi a riempire la pasta in bianco di ketchup.
- durante raptus famelici alterno junk food salato a quello dolce, all’infinito.
- sono una fan delle caramelle con coloranti e gusti artificiali.
Credevo anche si trattasse di un pastone per body builder (il porridge, famosa colazione da body builder…) o da tipico inglese senza educazione alimentare all’italiana basata sulla combinazione da reflusso di latte+spremuta+brioches.
Credevo altresì che il sapore oscillasse dall’insipido al cartonato (cosa non errata se mangi solo l’avena).
Poi un giorno ho scoperto l‘abbinamento con il cacao, la frutta, il cioccolato, il cocco, la frutta secca, il riso soffiato e lo yogurt, e tutte le sue varianti per onnivori (vedi le note) e per vegani; e oltre a saziarmi per quasi tutta la mattinata, mi fa venire anche l’acquolina in bocca, riducendo la voglia mattutina di quei dolci che organizzano rimpatriate di colesterolo nelle mie vene.
Ingredienti per una tazza
– 10 cucchiai di fiocchi integrali di avena
– latte di riso
– 1 pesca
– 6/7 mandorle
– 2/3 cucchiai di semi di chia
– 2 cucchiai di yogurt di soia al cocco (*importante, vedi note)
Nella tazza (stesso lavoro puoi farlo in un pentolino sul gas) metti i fiocchi e aggiungi il latte fino a che non sarà al livello dell’avena.
Cuoci al microonde alla massima potenza (800W nel mio) per 20/30 secondi, o fin quando il latte sarà completamente assorbito.
Nel frattempo taglia a cubetti la pesca, e le mandorle a pezzetti.
A questo punto aggiungi tutti gli ingredienti nella tazza: yogurt, pesca, mandorle e semi di chia.
Mescola.
Mangia.
Alcune note
Per una versione non vegana sostituisci latte e yogurt con quelli vaccini che preferisci.
La cottura dell’avena dipende molto dal tipo; in commercio vendono sia quella pronta da mangiare, sia quella da cuocere. Per accorciare i tempi scegli sempre la prima o quella a pezzetti, perfette per l’estate quando non si apprezzano le colazioni tiepide (io riscaldo comunque perchè mi piace il contrasto con la freschezza della frutta).
Se come me odi lo yogurt di soia ti consiglio il nuovissimo Provamel al cocco, avvistato anche alle mandorle: ha un sapore delicato di frutta ma senza alcun sentore di soia. (NON E’ UNA MARKETTATA: la Provamel non sa neppure della mia esistenza).
I semi di chia li trovi ovunque, tra qualche tempo li avranno persino i venditori di fazzoletti ai semafori.
4 account Instagram da seguire subito.
Dimentico spesso che nel fritto misto di questo blog la fotografia ricopre una posizione importante.
Ogni post ha le mie foto studiate con cura, e scattate con reflex e cavalletto, e sistemate con Photoshop; in altri inserisco le mie immagini condivise nell’immediatezza di Instagram.
Una combo micidiale.
Ma prerogativa di questo account è la presenza dei cagnolini, e se ci sono i cagnolini non c’è delusione.
…si inizia a ragionare.
Se ti interessa l’interior design e vuoi seguire un account che mostri stanze che non avrai mai, questo è quello giusto.
Osservo quei bellissimi salotti senza vita, senza polvere, senza disordine immaginando una mia ipotetica casa non in linea con il caos della mia camera.
Calzoni in padella velocissimi.
Sono per il less is more.
Nel blog – escludiamo il fiume infinito di parole che potrei evitarmi – ho optato per una grafica minimal, in parte per un’incapacità di base, in parte perchè il nordic style is the new black.
Ma anche nella vita. Meno parlo meno possibilità ho di far danni a causa di quei tasselli mancanti.
O nel trucco, chè se vedessi le foto del mio periodo arcobaleno capiresti perchè non uso più ombretti colorati…
Less is more è bello.
Less is more è meglio.
Ma non in cucina.
No, nel regno di Nigella ci vuole more, non ti basta il servizio DITO da 24 posate dell’IKEA.
Come pensi di fare l’hummus senza il minipimer?
E mica monti gli albumi a mano come l’Artusi?
Ma soprattutto, pensi di riuscire a vivere senza il forno?
Io no. A Padova non lo abbiamo, o meglio ci sarebbe ma è in comune con il ragazzo che occupa l’altro appartamento, e non ho intenzione di trovarmi nella spiacevole situazione di spiacevole scambio di spiacevoli parole di cortesia.
Quindi se il Ragazzo Economista non è in casa, niente polpette vegetali non fritte, niente torte, niente peperoni ripieni, niente di infornabile.
Così la fame ha aguzzato l’ingegno dando vita a questi calzoni fatti in padella. Che ingegno, eh?
Libri, film e altre cose: riassu-mese aprile 2016.
L’inizio di un post dovrebbe sempre catturare la curiosità del lettore, ma io sono una pessima proprietaria di blog quindi ti dico che questo mese ho visto poco e letto ancora meno.
…