E’ una costante: nelle uscite, durante le sere dagli amici con l’ognuno porta qualcosa.
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Ceci n'est pas un blog de cuisine
by Alice 22 Comments
by Alice 20 Comments
Procrastinare è la mia parola d’ordine.
Non fare oggi quello che puoi fare domani il mio motto.
Figlia della pigrizia e dell’accumulazione seriale di idee, dimentico e rimando progetti; mi cullo nella speranza che una notte la dinamicità (fisica ed intellettuale) possa essere soffiata nella mia stanza da un Grande Gigante Gentile, al posto di un sogno.
Ma avevo scritto che questo 2015 doveva essere creato da sè stessi, no?
Quindi continuerò ad aspettare il GGG ma intanto, nel periodo boom di blogger aspiranti youtuber, e dopo un anno (!) dall’idea, ho finalmente creato una video-ricetta: una ricetta condensata in circa 30 secondi di video.
Perchè così poco?
Perchè non sempre ho voglia di guardare tutto il video.
Perchè non sempre ho voglia di saltare da un minuto all’altro per trovare gli ingredienti.
Perchè non sempre ho voglia di sprecare tempo per scoprire che non ci sono le dosi.
Sarò mica l’unica?
Alcune note (perchè il procedimento è davvero tutto nel video)
La ricetta ovviamente non prende solo 30 secondi del tuo tempo, ma poco più.
La consistenza è quella del gelato.
La banana deve stare in freezer per almeno 2/3 ore; la cosa migliore è quando hai banane mature che sai già finiranno nella spazzatura: tagliale e mettile in freezer, così potrai usarle all’occorrenza.
Per questa preparazione di usano appunto le banana mature, ma secondo me vanno bene anche normali (ancora in buono stato – non acerbe, ovviamente): il sapore sarà solo meno dolce.
Ovviamente questa è la ricetta base che puoi insaporire come vuoi (presto arriveranno le varianti 🙂
Allora? Che ne dici del gelato (e del video)?
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by Alice 20 Comments
Non sono vegana ma…
Ma mi piace.
Certo, non credo riuscirò mai a rinunciare al concentrato anti-vegan della meringata, ma apprezzo non poco la cucina senza alcun derivato animale.
Mi reputo tendenzialmente una democratica alimentare: mangio e lascio mangiare.
Però.
Però ci sono anche gli estremisti, non per le proprie scelte, ma per quelle altrui.
Hai presente?
Massì, quelli della Lega Carnivora che basano ogni scelta sulla teoria della catena alimentare e la selezione naturale; quelli dalla diagnosi facile di anemia, che sbranando la bistecca al sangue ti chiedono come tu possa reggerti in piedi senza quasi toccare carne.
Oppure quelli del Movimento Vivi d’Aria che NOcarne-NOpesce-NOuova-NOlatticini-NOlegumi-NOfruttasecca- NOcarote-NOmelanzane-NOpiacere e se lo fai…ma non ti vergogni?
Solitamente sono caratterizzati i primi dall’informazione selettiva (ovvero solo delle tesi a sfavore del vegetarismo o veganismo) e i secondi dal fanatismo (se mangerai un cucchiaino di miele, un giorno le api si rivolteranno contro i tuoi figli).
Della seria: abbasso le differenze.
Io sono sulla via dell’addio carne/pesce, mossa dal gusto personale (mi fanno schifo) e da questioni etiche personali.
PERSONALI
Quindi tranquillo: niente sfracassamento dei preliminari alimentari quando ordinerai con la bava alla bocca un brasato in mia presenza.
Spezzafame. Veloci. Semplici. Versatili.
Ecco come sono questi crackers; sono buoni da sgranocchiare, pronti in pochissimo tempo, puoi insaporirli (anche con del formaggio per una versione non vegana), cambiare la farina, cambiare la forma.
Insomma…provali!
Ingredienti
– 1 bicchiere di farina integrale
– 1/3 di bicchiere circa d’acqua calda
– 1 cucchiaino di sale
– 1 cucchiaino di olio extravergine d’oliva
– 3 cucchiai di semi di sesamo (opzionali)
Accendi il forno a 180°C.
Versa sul piano di lavoro la farina e amalgamala con i semi si sesamo.
Al centro aggiungi l’olio e, poca alla volta, l’acqua (potrebbe servirne un po’ di meno come un po’ di più) cominciando a mescolare con le mani.
Continua così finchè non otterrai un panetto morbido ma non appiccicoso.
Con un mattarello stendi l’impasto più sottile che puoi, e ritaglia dei rettangoli della grandezza di (indovina un po’?) un cracker.
Adagiali su una teglia coperta con carta da forno, e con una rotellina dentata (di quelle per le bugie), crea il tipico solco centrale (i due lembi devono quasi staccarsi – in cottura si gonfieranno un po’, chiudendosi) e con una forchetta i buchini.
Inumidisci appena la superficie con dell’acqua e spolvera un pochino di sale.
Fai cuocere per circa 5/10 minuti, o fin quando cominceranno a dorarsi.
Sforna, trasferisci su una gratella, lascia raffreddare e mangia!
Alcune note
Puoi sostituire la farina integrale con quella che preferisci.
Al posto dei semi di sesamo puoi utilizzare quelli di papavero o aggiungere spezie ed erbe aromatiche.
Sono perfetti se tagliati a triangolo e sostituiti alle tortillas per il guacamole.
Non sfornarli se al tatto risultano ancora leggermente morbidi.
E tu di che partito sei? Vegano sì? Vegano no? Carnivoro o fruttariano?
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by Alice 12 Comments
Ed eccomi qui, circa un anno dopo, a riscriverne.
Oggi, perchè è la giornata mondiale della sindrome di Asperger….
by Alice 12 Comments
Ho condotto la vita da camperista (che viaggia) per una decina d’anni, fino a quando il camper non ci è stato rubato – davanti ad una caserma………ma questa è un’altra storia.
Un risveglio in riva al mare |
by Alice 10 Comments
A volte viviamo dei legami inspiegabili.
Una via di mezzo tra déjà vu e sensazione impalpabile, come di una vita passata, con luoghi a cui apparentemente non siamo collegati.
Ti capita mai? A me succede spesso.
Con persone, posti, odori. A pelle.
Mi succede con Pavese.
E con la sua terra: le Langhe.
Prima di arrivarci la macchina procede su autostrade pianeggianti, tra campi osservati dal Monviso e pascoli verdi.
Poi i pendii si alzano, i prati crescono in filari; lo sguardo si allunga su un susseguirsi di colline e l’auto ti culla scivolando per le strade che si fanno piccole.
Un elenco di piaceri che non può non preannunciare qualcosa di bello.
Passeggiare per le Langhe, ad esempio.
Si guida poco, perchè gli occhi vengono subito conquistati dai colori della campagna.
L’ultima volta è stato semplice innamorarsi: il tramonto non lascia mai scampo.
Il piccolo paese di Barolo, padre dell‘omonimo vino DOCG, ci ha accolti nel luminoso silenzio di un tardo pomeriggio di fine dicembre, quando i campi sembravano protetti da un filtro aranciato.
Qui si trova il Castello dei Marchesi Faletti, che ospitò addirittura Silvio Pellicco, amico e responsabile di biblioteca della famiglia; oltre ad essere visitabile è anche la sede del WIMU, il wine museum: un percorso che parte dalla terrazza panoramica fino a scendere nel gusto delle cantine.
Durante la mia gita era chiuso, ma conto di rimediare questa primavera!
Nella strada che va da Barolo ad Alba invece ci siamo fermati per un tuffo in quello che è stato un dei tramonti più belli che abbia mai visto. Nessuna foto renderà mai i colori disegnati sulla tela gigante dell’orizzonte.
In quel momento il mio legame con le Langhe si è fatto sentire: un’esplosione di amore e malinconia; un conflitto di sensazioni così forti e diverse, placato dal panorama che toglie il fiato.
Sarà il Monviso nudo nel suo ambiente, e non rivestito dai palazzi torinesi che scoprono solo la sua cima; sarà il silenzio che riempie l’aria e il senso di libertà che ti riempie dentro; ma l’effetto di questa zona del Piemonte mi crea sempre una centrifuga di emozioni.
Ma si può parlare di Langhe e non di enogastronomia (uno di quei legami indissolubili di cui scrivevo qui)?
Alba -seconda città della provincia di Cuneo- ci ha accolti nella patria dell’imbattibile tartufo.
Dopo una breve passeggiata nel centro storico, non potendoci permettere il ristorante Piazza Duomo (3 stelle Michelin), abbiamo cenato in un più economico consigliato da un’amica del posto: il Museum Hostaria.
Non farti ingannare dal “più economico“: la qualità dei prodotti e la bontà dei piatti me li porto ancora chiusi nella mente (ed è meglio che non li riapra o la voglia di fonduta e tartufo potrebbe presentarsi al mio stomaco).
Ovviamente i prezzi non sono quelli del pub sotto casa, ma se ci si vuole concedere una buona cena qui si va sul sicuro; inutile dire che ti sapranno consigliare i vini migliori!
Ovviamente se sei ad Alba e hai voglia di un dolce puoi fermarti in una qualsiasi panetteria negozio gastronomico per acquistare qualche specialità a base della tonda gentile: baci di dama e torte di nocciole IGP che ti faranno schiacciare il naso contro le vetrine (prima di correre dentro).
Scoprire le Langhe è un’esperienza multisensoriale: sapori, profumi, colori difficili da paragonare con altri paesaggi.
E’ una regione in cui ritrovare i racconti di Pavese, in cui abbandonarsi ai piaceri dei prodotti tipici; vacanza lunga o fine settimana romantico, non importa.
Sono le Langhe.
by Alice 9 Comments
Sono nata pessimista.
Vivo vivevo in un bicchiere mezzo vuoto. Pure crepato.
Poi una serie di eventi mi hanno portata a riflettere su una cosa banale.
Che poi banale non è, all’inizio. E’ un po’ come quando devi alzarti il mattino: con gli occhi chiusi ti sembra impossibile che il tuo corpo sia dotato di cellule capaci di scinderti dal letto senza l’aiuto di una gru; cominci a stropicciarti gli occhi perchè la sveglia suona una seconda volta, e magari una terza ed una quarta. E a un certo punto, arrotolato tra il dovere di alzarti ed il piacere del dolce poltrire -ormai il piacere è ansia da ritardo- ti tiri su. I piedi toccano terra, l’andatura zombie ti accompagna fino al bagno, e la giornata comincia come ogni giorno.
Non è semplice, ma viene istintivo.
Ecco dicevo, la cosa banale che piano piano diventa naturale: il punto di vista.
Cambiare lui cambia te.
Non dico che nel mio sangue scorra ottimismo – sto lavorando perchè la mia fiducia nel futuro non abbia l’andamento di una montagna russa- ma diciamo che a quel bicchiere ci ho messo un bel po’ di colla, così da poterlo riempire ogni volta che riesco.
A questa cosa ci ho pensato ieri, sotto un cielo che riversava nuvole di neve sulla testa di persone disperate per il traffico.
“La neve è una rottura di palle che piace solo a chi non ha nulla da fare” ha sottolineato un signore al giornalaio, sottintendendo i disagi che reca alla viabilità.
“Punti di vista”, ha risposto l’altro, aggiungendo qualche motivazione.
Non so come sia terminata la loro conversazione, ma è vero: punti di vista.
Se ti limiti a vedere la neve come rallentamento del traffico non potrai che odiarla; ma se la guardi dal punto di vista “bambino”, anche dovendo attraversare la città, la prenderai diversamente.
Non è facile, ma è tutta questione di punti di vista.
I tartufi classici con cioccolato, latte e altri ingredienti da orgasmo papillare rimangono i migliori tartufi da orgasmo papillare; ma vade retro se sei a dieta o il destino ti ha reso ipercolesterolemico.
Questa versione vegan è senz’altro meno peccaminosa; non dico ugualmente buona perchè non vado matta per i datteri, ma se ti piacciono allora devi provarla!
Il bello è che si fa con due ingredienti (più eventuali granelle e aggiunte a piacere) in pochissimi minuti. Proviamo?
Ingredienti
– 150g di datteri privati del nocciolo
– 1 cucchiaio di cacao o farina di carrube
– ½ cucchiaino di sale
Elimina il nocciolo e metti i datteri nel robot da cucina: aziona e trita finchè non diventeranno sottilissimi.
Aggiungi il cacao o la farina di carrube e il sale, poi mixa finchè non sarà omogeneo. Se dovesse risultare ancora appiccicoso aggiungi ancora un po’ di cacao/farina.
Crea delle palline della dimensione che preferisci e rotolale in altro cacao/farina.
Servi o conserva in frigorifero.
Alcune note
La farina di carrube è un sostituto del cacao; si trova nei negozi biologici e ha un sapore leggermente speziato (ogni volta che la uso mi chiedono se abbia messo della cannella). Scegli tu cosa usare.
Se le lame non tagliano bene, riduci i datteri in piccoli pezzetti con un coltello.
All’impasto puoi aggiungere estratto di vaniglia, frutta secca, e rotolare le palline nella granella di nocciole, pistacchi, mandorle: come dei normali tartufi.
by Alice 22 Comments
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by Alice 18 Comments
Dopo le prime 10 cose che non tutti sanno di Torino, arrivano le altre dieci: molto culinarie e anche magiche!…
by Alice 16 Comments
Lavorando in un ambiente dove il 99% dei colleghi indossa decollete e gonna, avrei molte cose da dire sulle ragazze.
Ma ce n’è una che mi lascia sempre sbalordita: l’apparenza.
Noi ragazze sappiamo essere dei sepolcri imbiancati: lindi fuori, ma sempre sepolcri inside.
Ci ho fatto uno studio, utilizzando come campione il centinaio di hostess con cui condivido un microspogliatoio.
Di queste, io ed un 25% siamo le così definibili “schifiltosine“: consce della condivisione degli spazi, siamo restie al contatto tra propria parte fisica e superficie comune (insomma, ci fa schifo appoggiare le terga scoperte sulle sedute). Diventiamo equilibriste capaci di non far toccare il corpo con qualcosa che non sia di nostra proprietà.
A questa figura corrisponde sempre un estremo ordine o, come nel mio caso, un estremo ordine pubblico (ovvero, lasciare la propria postazione lavorativa in perfetto stato, mentre la propria camera necessiterebbe dell’ Higitus Figitus di Mago Merlino).
E poi ci sono le “graziose scaricatrici“: sono quelle carine come una velina, ma che camminano scalze nonostante fuori piova e lo spogliatoio stia per richiedere una bonifica; quelle che non si fanno problemi per un vis-à-vis chiappe/sedia (su cui un’altra graziosa scaricatrice è appena salita con le scarpe sporche).
E l’ordine è il loro punto forte sulle foto di Instagram. Neanche su Pinterest trovi stanze come le loro.
Ma la frenesia dello spogliatoio ha evidentemente l’effetto della rabbia su Hulk.
Così ti ritrovi in mezzo ai loro avanzi di cibo, ai collant rotti, sporchi e abbandonati sulle panche.
La top 3 delle cose personali lasciare dalle graziose scaricatrici in oggetti non personali, condivisi da tutte noi?
Medaglia di bronzo alla crafter che ha deciso di incollare la tasca della giacca con la gomma da masticare gettata all’interno senza neppure un pezzo di carta.
Quella d’argento va alla collezionista sbadata che si è morsa le unghie e la ha custodite nella taschina di una giacca.
Ma la migliore, quella che merita senza ombra di dubbio la medaglia d’oro, è la ragazza sexy che ha abbandonato le mutande nello spogliatoio.
Le mutande.
Mi auguro fossero di ricambio.
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