Quando distribuivano l’istinto materno io mi divertivo guardando video di bambini che si fanno male.
Ho superato i trenta ma il mio senso genitoriale è mal pervenuto. Esserci c’è, ma si limita all’obbligo morale di tenere in vita un umano dagli occhi grandi.
Non contribuisce positivamente l’assenza di amici, di lui o miei, con prole. I pochi con in dotazione degli under 10 li frequentiamo poco o niente.
La cosa non mi affligge, mi mette alle volte in difficoltà.
Le rarissime in cui ho a che fare con bambini piccoli (più le dimensioni sono ridotte peggio è)
so di dover affrontare due stadi: l’alterazione di interesse ed il panico.
Si tratta di due fasi interscambiabili, il che rende gli incontri ulteriormente imprevedibili.
L’alterazione di interesse consiste nell’assecondare il bisogno del genitore di mettere al corrente l’intera nostra galassia dei particolari riguardanti il suo erede.
Lo ritengo un atteggiamento ineluttabile del pacchetto “figliare”, per questo lo giustifico facendo del mio meglio: provo a mantenere l’attenzione, anche per affinare la mia sensibilità sul tema, ma tendenzialmente faccio vedere questo
Oggi maneggerei un neonato con la stessa scioltezza con cui, in bilico su una fune tesa sopra lo Stromboli in eruzione, reggerei un vaso canopo egizio appena ritrovato.
Un esempio pratico di questi stadi risale a qualche anno fa, quando un’amica si presentò al mio compleanno con il figlio di pochi mese.
L’approcciò della sottoscritta fu il solito, lo stesso che avrei di fronte ad un predatore (panico da possibile prestazione): mantenni la distanza per eludere l’attacco della madre da “vuoi tenerlo?”; evitai il contatto visivo con il neonato per raggirare un allungamento delle sue braccina grassocce nella mia direzione; non feci gesti bruschi o rumorosi per evitare di scatenare il suo pianto iroso.
Ascoltai distrattamente i discorsi della mamma (alterazione d’interesse) impegnandomi perché il mio sorriso rigido non sembrasse il tentativo di occultare una colite spastica.
E funzionò. Tutti lo tennero in braccia e fino all’ultimo pensai di aver scampato la prova pratica. Ma il calo di tensione comportò un abbassamento delle difese da carenza di istinto materno: mi avvicinai distrattamente alla mia amica con il discendente tra le braccia nel momento in cui stava per indossare il cappotto. Non ricordo nulla se non che mi ritrovai pietrificata con un biondino di pochi mesi tra le mani (PANICOPANICOPANICO).
C’è chi alla nascita riceve il dono di guardare la testa di un neonato e immaginarne il profumo di borotalco e rose dell’Eden, e chi di non vederci altro che la stabilità di un air dancer.
L’istinto materno (o in senso più ampio, genitoriale) credo si possa sviluppare, ma non è necessariamente innato.
Se hai bambini piccoli non sentirti offeso da un amico che preferisce tenere in mano le sue stessi mani piuttosto che tuo figlio.
E se proprio non riesci vedila così: meglio un neonato cullato da braccia sicure che uno tenuto come una mandragola.
Anna says
Quanto ti capisco, non ne hai idea. Io l’istinto materno non l’ho mai, mai avuto, neanche da ragazzina. Avevo un unico bambolotto, non Cicciobello ma un coso di gomma a forma di neonato che andava riempito con l’acqua per dare la sensazione di tenere in braccio un marmocchio, e la cosa mi deprimeva già allora. Lo usavo come fermaporta.
Ricordo con terrore la volta che vidi mia zia dopo il parto di mio cugino, era il 1997 e io avevo dieci anni: stava in una stanza di ospedale e l’unico mio pensiero era che le sue tette erano diventate enormi ed orrende. Perché sì, ci fece assistere all’allattamento in diretta e a me non piacque per nulla, anzi, uno dei motivi per cui non sogno di diventare madre è l’idea di diventare così.
L’odore di neonato mi dà il voltastomaco. L’urletto che tu rivolgi ai cani io lo rivolgo esclusivamente ai gatti. L’idea che qualcuno voglia toccare un mio potenziale figlio o, peggio, la mia pancia in crescita mi dà il nervoso. L’idea di non dormire per un coso urlante e cagante 24 ore su 24 mi dà il nervoso e l’ansia. Ma soprattutto, l’idea di doverlo fare perché la società si aspetta che lo faccia mi fa passare del tutto quell’1% di voglia che ho di procreare.
Insomma, la prendo bene quando si tratta di figli.