Mi piacciono i buoni propositi di inizio anno. Sono la preparazione al blocco di partenza, la spinta prima di una corsa lunga dodici mesi.
Mi piacciono, ma non sono fatti per me: i buoni propositi richiedono devozione e costanza, ed io cambio idea su cosa mangiare nel giro di cinque minuti, figuriamoci nei cinquecentoventicinquemilaseicento di un anno. Se ci mettiamo poi che il 99% degli obiettivi vengono prefissati per via della loro esigua o complessa amabilità (sarebbero già stati portati a termine, altrimenti) e che di riprendersi dal lutto post natalizio con degli obblighi sia accettabile in caso di masochismo della peggior specie, lascio i buoni propositi ai risoluti e agli influencer.
Per questo i miei hanno assunto le sembianze di auto consigli da curare quando ho tempo…se ho voglia…quando mi capita, come il fingerpicking con l’ukulele o la meditazione prima di dormire.
Eppure, a dispetto del miserabile calibro dei miei intenti di ogni inizio anno, alla fine del mio primo nell’arco dei trenta ho voluto fare un riepilogo personale dando un’occhiata a ciò che è stato, e permettimi se scostandomi i capelli dalle spalle con un vanesio colpo di mano scrivo di averci visto una mole di robe soddisfacenti.
Ho fallito su molti fronti: ho sofferto di stitichezza di letture (porterò con me la misera cifra nella tomba), non ho visto le mostre che avrei voluto, né ho frequentato i cinema quanto avevo sperato; ho mangiato peggio di quanto avrei dovuto fare, ho proposto meno uscite ad amici e colleghi di quanto sarebbe sano organizzare, e da metà anno ho fatto scemare una relazione sporadica con la palestra.
Ma spostando lo sguardo dai propositi falliti agli inaspettati prodotti di terapia psicologica e perseveranza, la prospettiva cambia.
Il segreto, alla fine, è quello: una visione macro.
Mi facevo distrarre dai piccoli obiettivi di inizio anno, come l’ampliamento della mia cultura musicale, tralasciando la degustazione dei frutti delle fatiche di anni (anni evidentemente spesi a non trovare alternative alle allitterazioni – appunto).
L’avvento dei trenta mi ha portata ad un bilancio.
Nel 2018 ho letto poco, ascoltato la stessa musica di sempre, risparmiato senza grossi risultati. Ma ho superato i limiti (fisici e psicologici) di una malattia che pensavo non mi avrebbe concesso un viaggio in Messico zaino in spalla, resistendo allo stress causato dalla perdita del passaporto in un Paese di polizia corrotta, trovando il coraggio di nuotare nell’oceano tra squali balena e mante, reggendo ore in piedi di autobus dove l’igiene e l’incolumità…quale igiene ed incolumità?
E dopo una ristrutturazione epopea durata un anno e mezzo, a settembre sono entrata ufficialmente da sola nel tanalocale, benché per anni mi sia immaginata capace solo di una convivenza, nonostante la possibilità di una convivenza fosse già ammissibile. Da che l’indipendenza era per me un orizzonte inarrivabile, è diventata all’improvviso terra in cui vivere.
Gli obiettivi che ho raggiunto non erano piccoli propositi di inizio anno, erano enormi traguardi di vita.
Ed è questo che auguro silenziosamente a chi amo. Di arricchirsi culturalmente, certo. Ma prima di tutto di meravigliarsi di se stessi; uscire dalla comfort zone per assaporare ancora di più la comfort zone; vivere nuove esperienze e viaggiare ogni volta possibile, perché è lì che si annida il senso di invincibilità e potenza.
Probabilmente non rientrerai nelle persone che amo e a cui silenziosamente auguro tutto ciò, ma che tu abbia avuto la voglia di arrivare alla fine del post ti rende un po’ meritevole di questo.
Buon 2019: vivo, felice e avventuroso.
gynepraio says
Brava Alice.