Vediamo se ci riesco.
Perché dall’ultimo post risalente a novembre ’20 ne ho scritti altri che temporeggiano in attesa di perfezionamenti che la procrastinatrice in me delega al “poi”.
Battere nero su bianco la vita ultimamente forse richiede meno impegno, provo a ripartire da qui.
Quindi, nell’ultimo anno:
Ho passato il 70% del tempo con il seno di fuori.
Non c’è attività migliore dell’allattamento per sradicare da sé il pudore della nudità.
Io, probabilmente sotto l’effetto stupefacente degli ormoni post parto, non ho vissuto il semi topless con difficoltà e il tempo ne ha fatto un’abitudine.
Inizialmente ho ceduto alle maglie per l’allattamento, questi indumenti con uscite segrete sotto sipari di stoffa utili qualora si voglia celare il seno agli astanti. Ma ricomporsi senza che qualcosa si incastri in qualcos’altro, mi ha fatto preferire i più volgari ma immediati su la maglietta/giù lo scollo.
Devo ammettere di non essermi mai sentita in imbarazzo né di aver notato particolari sguardi di disapprovazione che so essere croce di molte donne; al massimo qualche invito ad appartarmi in una stanza più tranquilla (ci ho visto malizia ma poteva essere cortesia).
D’altronde sono una mammifera e non me ne vergogno.
Ho perso più chili di quanti ne abbia presi in gravidanza (ma ne avrei fatto a meno).
In gravidanza sono ingrassata di circa 17 kg (avevo fame, ok?) e temevo di non perderli.
Sì, ho mandato al bando la body positivity perché volevo riappropriarmi di quello che potevo, e se il tempo era ormai proprietà privata di mio figlio, che almeno il riflesso allo specchio mi ricordasse che quella che ero stata era ancora lì.
In effetti alle fattezze originali ci sono tornata, ma non per dura attività fisica o regime alimentare equilibrato, piuttosto a causa dello stress.
La combinazione neonato + ritorno a lavoro + ristrutturazione + lutto familiare è un brucia grassi che manco mi fossi nutrita di sola acqua e zenzero.
I miei nonni raccontavano della loro vita durante la guerra, io ai miei nipoti spiegherò le avventure dell’acquistare casa con agenzia a tre mesi dalla nascita del primo figlio ed un susseguirsi di faticosi eventi.
Ne faccio ironia ma nel totale è stata una gestione presa in ostaggio dai dubbi, dal sonno, dal costante senso di inadeguatezza, che avrei barattato volentieri con una manciata di chili in più.
Sono tornata a lavoro per gratitudine (e mi ha fatto bene).
Sono rientrata dalla maternità ai quattro mesi del Piccolo Sabaudo, usufruendo quindi di un solo mese di facoltativa non per volontà o bisogno, ma per senso di “riconoscenza” nei confronti dell’azienda che mi ha fatto un contratto a tempo indeterminato in piena maternità e pandemia.
Potrei millantare stakanovismo ed emancipazione materna ma no, è stato per mero senso del dovere visto che né io né il Piccolo Sabaudo eravamo pronti. Lui era un neonato ad altissimo contatto, io una neomamma ancora a disagio in quella veste. Sentivo di sbagliare ad anteporre al bene di mio figlio la gratitudine per la fiducia lavorativa datami; e so di aver sbagliato a non concederci altro tempo.
Ma con il senno di poi so che la mia salute mentale mi deve un favore.
Ero stanca perché lui era fatto al 60% di lacrime e iniziavo ad incastrarmi in proiezioni mentali di un futuro distopico in cui l’unica attività possibile fosse galleggiare nei suoi pianti.
Sono convinta che ci voglia una predisposizione alla genitorialità totalizzante, predisposizione che non mi appartiene e che, a dirla tutta, non vorrei neanche: trovo sana la voglia di stimoli extra puericulturali che diano svago a me e, quando ne sarà pronto, spazio a lui.
La vita, ultimamente.
Ci siamo trasferiti nella casa nuova senza salutare il Tanalocale perché farlo vorrebbe dire archiviare certi momenti passati.
Sto elaborando l’assenza di mia zia, morta a luglio, che non è solo questione di lutto ma anche di mutazione della vita familiare.
Sono diventata madre di un bambino. Il Piccolo Sabaudo non è più un neonato che ristagna dove viene messo, ma un mini umano dotato di arti movibili che si agitano, afferrano, si arrampicano e scoprono.
Resta un’idiosincrasia per il cambiamento, il troppo rimuginio, l’insicurezza congenita, i momenti di entusiasmo stroncati da quelli di sconforto resuscitati da altri pieni di fiducia.
La vita, ultimamente, è cambiata, ma a pensarci bene non è tanto diversa da ciò che è stato e ciò che sarà.
Com’è la vita, ultimamente?
Kokori says
Ultimamente vedo alti e bassi, proprio qualche giorno fa mi dicevo: “ e chi lo avrebbe mai detto che dovevo passare una cosa simile?” Era la ciliegina sulla torta degli ultimi disastrosi 2 anni. Poi il recupero, forse ora si risalirà la cima? Speriamo.