Mi piacciono i tennisti ma finisco con i calciatori.Le mie più grandi cotte facevano tennis a livello agonistico, ma ho sempre frequentato ragazzi che giocavano a calcio. Sottolineo il giocare perché gli invasati che guardano il pallone ogni domenica, ci fosse anche il figlio in procinto di venire alla luce, non li reggo. Senz’altro stare con uno il cui sforzo maggiore davanti ad un pallone è alzare la voce per inveire contro l’arbitro, non mi avrebbe portato a passare quasi sue settimane all’ospedale: colui con cui ho deciso di spartire le mie paturnie si è fratturato il quinto metatarso giocando. E’ stato operato e sarebbe finita con pochi giorni di reparto se qualcuno (ignoto, per sua fortuna) non avesse somministrato un sovradosaggio di antidolorifico provocandogli un’insufficienza renale. Corsa al pronto soccorso. Altri otto giorni di ricovero. Più di un mese di convalescenza. Avanti e indietro per e dall’ospedale all’altro capo di Torino.
Ma tutto è bene quel che finisce con reni indenni.

Un aprile di scampagnate…
Questo episodio mi ha fatto riflettere sulla fortuna/sfortuna, vocaboli con i quali mi riferisco a fatti estremamente positivi o negativi determinati da una randomica casualità. Nel mia personale accezione del termine, buona parte viene occupata dallo stato di salute proprio e familiare.
Mi reputo un mix delle due, così come la maggior parte delle mie conoscenze.
Eppure ho in mente un paio di persone immuni alle sfortune (sanitarie): zero parenti malati, nessun amico infermo, stato fisico accettabile. Neanche un’intolleranza al lattosio, al massimo una forma leggera di allergia agli acari. E la cosa bella è che si tratta delle persone più lagnose ed effimere che abbia mai conosciuto.
Conscia del significato di malattia in ogni sua forma dall’età di quattro anni, mi domando quanto debba essere bello vivere senza autentica ansia da esami o timore da controllo, ma quanto debba essere avvilente non percepire concretamente questo culo.
LIBRI
Ho sempre scelto le mie letture con attenzione ma ad aprile sono andata un po’ a sentimento e per quanto ognuna mi abbia fatto penare fino alla fine, non mi pento di (quasi) nessuna scelta.
Vedi Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli: per capire se mi fosse piaciuto sono dovuta giungere alle ultime pagine. Apprezzavo l’evoluzione della storia ma avevo l’impressione che calcare la scoperta dell’autoerotismo del protagonista (fondamenta della narrazione) fosse un espediente forzato per l’irriverenza. A romanzo inoltrato uno stralcio mi ha fatto piangere per la seconda volta in vita mia durante una lettura: la dolcezza nel raccontare un momento straziante e la capacità di renderlo vivido al punto da riportare in vita le stesse emozioni provate da me in una situazione simile, mi hanno convinta che qualcosa di efficace ci fosse.
Ho capito che si trattava di un libro oltre l’irriverenza dopo aver letto l’ultima riga. C’era un solo finale adatto ad un libro del genere, e quello è stato scelto.
Stesso destino per La sovrana lettrice di Alan Bennett,nel quale un’ipotetica Regina Elisabetta è vittima di una fame atavica di lettura. Neanche cento pagine per un racconto che poteva risultare monotono e banale se non fosse stato per l’epilogo spiritoso e inaspettato. Così breve da poterlo finire in una serata.
Ho ancora sul comodino (figurato, ché nel tanalocale vanno sfruttate le altezze, ma ripiano suona male) Il segreto degli angeli della giallista svedese Camilla Läckberg, primo poliziesco dopo l’ultimo letto circa vent’anni fa (posso definire tale “Assassinio sul Canadian Express” de Il battello a vapore?). Visto il mio scarso interesse per i gialli ho iniziato con sfiducia, ma ho dovuto ricredermi dopo poche decine di pagine, un numero considerevole di intrecci di personaggi e un passato da riportare a galla. Avvincentissimo.
Non consiglierò “Voci fuori campo” di Ali Smith perché la voglia di terminarlo il prima possibile non era dettata dalla curiosità ma da semplice strazio.
E A PROPOSITO DI LETTURA
E’ la fobia che mi assale all’inizio di ogni anno che segue uno costipato di letture rimandate, come è accaduto cinque mesi fa dopo un 2018 carentissimo di libri.
Entro in libreria o scopro letture altrui e mi rendo conto di quanti libri voglia leggere senza poi aprirli davvero.
Dar colpa al tempo mancante mi sembra una misera scusa: tutti guardiamo un film/andiamo in palestra/scorriamo le bacheche dei social network, azioni che richiedono del tempo libero che, volendo, potremmo dedicare alla lettura; ma è vedendo questo video che mi sono accorta di quanto poco basti per rendere realmente praticabile: leggendo soli 30 minuti al giorno, in un anno si potrebbero terminare “Infinite Jest” (più di 1000 pagine), “Guerra e pace” (quasi 1500 pagine), “Moby Dick” (più di 700 pagine) e altri tre libri a scelta.
PODCAST
Due cose vanno di moda: i podcast e affermare di averli scoperti ben prima del loro recente boom.
Potrei vantare entrambe le cose, peccato abbia iniziato quando la maggior parte era in inglese, e per quanto potessi cavarmela con la lingua, avevo bisogno di una concentrazione non associabile alle attività quotidiane (o focalizzavo l’attenzione sul discorso o finivo per lavare il bidet senza ascoltare).
Con l’avvento di quelli italiani non è che le cose siano migliorate poi tanto (deficit di attenzione, sei tu?) ma con la giusta offerta da parte del podcast e azioni non troppo distraenti (sì durante il trucco, no mentre cucino) ho ripreso l’ascolto. Ha funzionato con la serie per Repubblica.it Veleno di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli che raccontano gli episodi di fine anni ’90 dei “Diavoli della bassa modenese”, quando sedici bambini vennero allontanati dalle proprie famiglie accusate di gravissime violenze e satanismo. Al di là dell’inchiesta, è interessante l’aspetto psicologico della vicenda.
(L’ho ascoltato sull’app Spreaker).
POST
Ne ho pubblicato uno solo ed è la ricetta per il tiramisù senza uova che colui che critica ogni mio piatto ha promosso a pieni voti.
Io ho passato aprile a fare eparine. Mi auguro che il tuo sia stato più esaltante.
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