
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
La legge di Lavoisier mi indispone. In primo luogo perché legata al campo della chimica, che a simpatia eguaglia i carciofi incastrati tra i molari; in secondo luogo perché dannatamente vera. Mi è sempre piaciuto credere nell’esistenza della possibilità di plasmare e demolire cose ed eventi senza troppa partecipazione. C’è chi la chiama Dio, io la definivo sfortuna (o fortuna).
E’ più semplice: fare procura ad un’entità o a presunte cause ti dispensa in parte dall’addossarti le colpe dei tuoi risultati, e l’eventualità che questi peggiorino.
Con la storia del nulla si crea, nulla si distrugge salta tutto.
Prendi la felicità. E’ una condizione che muta nel tempo per via degli eventi: la somma della massa delle cose positive è uguale alla somma della massa della felicità.
Più fai cose belle e soddisfacenti, più sei felice.
Poi esserlo mica è facile, ché l’educazione sentimentale, soprattutto nei confronti di se stessi, scarseggia. Ho visto una bambina scoppiare a piangere perché la madre aveva scelto di non comprarle un ovetto Kinder, e lei, per silenziare quell’istigazione all’infanticidio, ne ha fatto rotolare uno in mezzo alla spesa. “Se no rimane triste fino a domani“.
Quando si dice che sono le piccole cose a far la felicità.
Nulla in contrario: affondare le mani in un sacchetto di patatine resta per me uno dei più grandi piaceri della vita, ma lasciare che il senso di gioia sia limitato ad un gesto, è quanto di più dannoso si possa pensare.
Io l’ho fatto. Per anni. Delegavo al futuro la mia felicità, aspettando che arrivasse con l’impazienza di chi attende un tram che tarda a passare.
In quei momenti permettevo che la mia allegria obbedisse alle risposte sbagliate, fomentando il bisogno di conferme esterne e i crolli d’umore in mancanza di queste. Quando ho capito che cercare la gioia in terzi aveva effetto sul breve termine, ho deciso di fermarmi ed eliminare ogni fonte di consenso: dei ragazzi che frequentavo, degli sforzi per dimostrare quanto fossi brava nel mio lavoro. Sono stata lì, ho visto l’ondata di sconforto avvicinarsi per poi travolgermi, strattonandomi e ferendomi con la potenza dello sconforto.
“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, è la legge della conservazione della massa. E la felicità, quella autentica, pesa.
Costa fatica la trasformazione, e la maggior parte delle volte risulta più semplice accontentarsi di una nuotata nella gioia momentanea, che di un’allegria durevole ma impegnativa. Eppure vale tutti i lividi e i pianti attraversati per raggiungerla.
Chè, come al solito, aveva ragione Cesare: “Prima di essere schiuma saremo indomabili onde“.
Un post pieno di spunti. Sono anche io convinto che cercare la felicità negli altri, ma anche nello sforzarsi a tutti i costi di raggiungerla (che poi raggiungere cosa?!), non porta a nulla. In generale, e sembrerà cinico, non mi aspetto né mi voglio né mi posso aspettare molto.
Hai proprio centrato il punto: sforzarsi di raggiungere la felicità, non porta alcuna felicità. Quella può arrivare, ma non aspettandola nè obbligandosi ad esserlo.
È che spesso lo si capisce tardi, e si aggiunge la frustrazione per aver perso tempo prezioso.
Quanto è vero.
Ci vuole coraggio per fare quello che stai facendo. Penso che ammettere quanto hai scritto e metterlo in atto, è di un coraggio immenso e talmente doloroso che credo quasi nessuno decide di farlo. Non posso che farti i complimenti e sperare di avere il coraggio anch’io di farlo…prima o poi.
(Scusa le ripetizioni ma la parola coraggio era quella che ritenevo più adeguata)