Il ristorante “Del Cambio” di Piazza Carignano è un emblema di Torino….
Archives for Aprile 2016
I 4 migliori avocado toast: bruschetta, alla greca, primaverile e all’hummus.
Dopo il post dei biscotti alla Nutella in 1 solo ingrediente, ritorniamo ad un po’ di salutismo con non una, non due, non tre ma ben quattro ricette di avocado toast.
Nell’improbabile caso in cui tu non ne avessi mai sentito parlare e pensassi fossero dei semplici toast, ti lascio un veloce decalogo che ti chiarisca la vera e propria filosofia celata dietro all’avocado toast.
- l’avocado toast non è un semplice toast; è un movimento che avvicina il mangiatore medio ad uno stile di vita più sano ma con gusto.
- l’avocado toast è terapeutico; dall’acquisto del frutto che in uno starnuto diventa troppo maturo, alla ricerca degli abbinamenti per non stancare mai, ci vuole cura e serenità.
Sempre. Credit: favoritememes.com - l’avocado toast unisce ogni regime alimentare; pancetta croccante per i carnivori, uova fritte per i vegetariani, ceci croccanti ai vegani e guacamole per i crudisti.
- l’avocado toast è uno slogan da spot televisivo; la semplicità che sposa la genunità.
- l’avocado toast è lo spuntino ideale durante la dieta; perchè l’avocado è un concentrato di grassi, ma sono “quelli buoni” che ti legittimano a sfondarti di carboidrati e grassi (buoni, però).
- l’avocado toast è cuoricini e pollici in su; insieme ad un neonato immerso in tulle e cupcakes, un gattino in una cesta di vimini, o un sedere tonico vista oceano, cosa c’è di più instagrammabile di un avocado toast?
- l’avocado toast fa subito Pinterest; sovraesponi l’immagine e sei pronto ad essere repinnato.
- l’avocado toast è da veri americani; una tavola bianca, qualche fiore, un avocado toast e ti senti subito uno yankee raffinato, anche se abiti a Buttigliera d’Asti.
- l’avocado toast è propedeutico ad uno stile di vita sano; pane integrale e avocado…what else?
- l’avocado toast è buono; provalo.
Non ho utilizzato olio per condire perchè i “grassi buoni” faranno anche bene alla mia salute, ma come la mettiamo con il mio sedere?
Viaggiare con Megabus: sì, o no?
Dopo sette corse con Megabus mi sento di poter dare un’opinione ponderata sull’economico servizio di pullman che sta tanto spopolando negli ultimi mesi.
La mia tratta è sempre stata Torino-Padova, Padova-Torino, ovvero quella del #diarioditrasferta che tengo su Instagram (se non mi segui, molto male – il mio profilo è @aliceofm); lì puoi trovare qualche commento a caldo su alcune vicende accadute durante i viaggi – c’è anche la foto di un tifoso napoletano che ha mal abusato del mio hashtag: sia chiaro che non sono io.
Ma arriviamo al punto: ‘sti pullman, come sono? I servizi di Megabus funzionano? Ci si trova bene?
In sintesi (o almeno ci ho provato) la mia opinione.
SCEGLI MEGABUS PERCHE’:
- è economico. Prendendo ad esempio il giorno in cui tornerò a Torino, puoi notare quanto mi costerebbe con la migliore offerta di Trenitalia: il doppio. In alcuni periodi le cifre di Megabus scendono ulteriormente e, anche se raramente, capita di trovare biglietti a 0 o 1€. Fino ad ora non ho dovuto spenderne più di 15.
- è sicuro. Il percorso che faccio io è in realtà una subtratta di Torino-Venezia, Venezia-Torino, percorsa in 06 ore e 35 minuti: trattandosi di un pullman a due piani dev’essere leggermente una sfacchinata. Ad assistere l’incolumità dei paranoici, c’è il cambio d’autista che avviene all’incirca a metà viaggio, ed ogni mezzo è fornito di cinture di sicurezza (che probabilmente sono l’unica ad aver utilizzato).
- gli autisti sono gentili. Si tratta chiaramente di un dato incerto, dal momento che non ho la sicurezza che nella politica di Megabus ci sia l’assunzione esclusiva di gente dal cuore grande ma, almeno io, ad ogni viaggio ho incontrato autisti disponibili a venire incontro ai miei danni. Danno n°1: ritardo, per colpa dei mezzi pubblici di Padova. Sono arrivata al pullman mentre l’autista controllava lo specchietto per immettersi nella strada; fortuna che il taxista soffriva di clacson facile ed è riuscito a bloccarlo. Quando il guidatore del bus è sceso, prima mi ha fatta tranquillizzare, poi mi ha lasciata caricare la valigia. Danno n°2: per Pasqua io e Ragazzo Economista abbiamo deciso di tornare a Torino con il Megabus dell’una di mattina, in modo che lui si godesse un giorni in più all’ombra della Mole. Peccato che io abbia questa difficoltà nel comprendere il cambio di data alla mezzanotte – è così fin dai tempi del “Babbo Natale arriverà questa notte” detto il 24 sera, che mi rendeva incerta la preparazione di latte e biscotti (ma Natale è il 25…) Fatto sta che compro i biglietti on-line e una volta consegnati all’autista questo mi fa presente che la mia prenotazione era stata fatta per il giorno precedente. Mi si è gelato il sangue, la crisi da vigilia di Natale aveva colpito ancora. L’autista chiama il centro Megabus che ci propone una soluzione-non soluzione: tornare a casa, comprare altri due biglietti per il giorno dopo e ripartire la mattina seguente. In pieno panico ho giocato la carta della pietà, cominciando ad investire l’autista di preghiere e me stessa di insulti. Non essendo italiano mi ha proposto di parlare io stessa con il centro, per spiegare con chiarezza la situazione; mi ha fatta chiamare dal suo cellulare ma tralascio il momento di dignità perduta nell’implorare di lasciarci salire (“So che sono stupida. So di non capire nulla. Le chiedo per pietà di venirci incontro. Ho pagato i biglietti. Dobbiamo prendere questo pullman. E’ questione di vita o di morte“). Però è servito e ci hanno fatto tornare a casa quella notte.
- non c’è bisogno di stampare i biglietti. Sembra una sciocchezza ma quando non hai la stampante ne comprendi l’utilità. Nel caso non avessi una carta con cui pagare on-line, puoi chiedere nelle biglietterie delle autostazioni da cui partono i bus (a Torino puoi rivolgerti, senza sovrapprezzo, a quella nel bar davanti al terminal dei bus di corso Vittorio Emanuele, di fronte al Palazzo di Giustizia).
- è adatto a (quasi ) ogni età. Ho visto adolescenti con lo zaino ed il sacco a pelo, signore sulla cinquantina, trentenni; e ho sentito neonati con le loro madri. Ci sono stati anche un paio di “anziani andanti”. Quindi è un servizio adatto a tutti (o quasi – vedi il secondo punto dei contro).
- sono puliti. Sarà fortuna, o un inizio di civilizzazione? Fatto sta che non ho ancora trovato cicles (=gomme da masticare) attaccate al sedile anteriore, fazzoletti incastrati tra un posto e l’altro o bottigliette che navigano lungo il corridoio. Persino i bagni sono decenti!
- ci sono i bagni. Per i muniti di vescica debole.
- c’è il wi-fi. Per i tecnomaniaci.
- i viaggi sono lunghi. Non è necessario essere fisici nucleari per intuire che un bus a due piani è più lento di un’auto o di un treno. Torino-Padova si percorre in 5 ore e 45 minuti (contando anche le fermate a Milano, Verona e per il cambio autista), se prendessi il treno arriverei in quattro ore.
- i posti non sono comodissimi. Per una come me con il fisico da anziana con l’artrite, i viaggi sono faticosi. Il problema sono i sedili del piano superiore: c’è poco spazio tra l’uno e l’altro; certo non fai la fine dell’uomo alto dei Simpson con le ginocchia utilizzabili come poggiatesta, ma un po’ anchilosato poi ti senti. Se non sei affetto da asocialità ti consiglio di provare i posti al piano inferiore, con i tavolini a quattro (anche se quando ti stiri il rischio piedino è inevitabile).
Non siamo a questi livelli…- Credit: qui. |
- il wi-fi non funziona sempre. Se pensi di lavorare mentre viaggi, disilluditi. La connessione c’è, ma non sempre è attiva (ed è lenta).
- le fermate sono brevi. Non sono pensate per farti sgranchire le gambe ma solo per la salita e la discesa. Toh, se sei fortunato hai il tempo di una sigaretta.
- I bagagli non sono del tutto controllati. Ti spiego: prima di salire le valigie vengono caricate in ordine di tratta, in modo da averle già suddivise per fermata. A queste attaccano un talloncino contrassegnato da un numero che viene consegnato per il ritiro del bagaglio: peccato che non lo richiedano mai; loro scaricano e tu ritiri la tua (o quella del ritardatario che si sta ancora vestendo sul pullman). Ma a dover di cronaca devo dire di non aver mai visto alcun trolley lasciato incustodito dagli addetti.
Biscotti magici di Nutella in 1 solo ingrediente.
Esiste gente che non mangia Nutella.
Loro li comprendo, sono stoici e sono testardi e inamovibili, qualità degne di rispetto se non utilizzate per bacchettarmi mentre impugno una manata di patatine fritte; la loro filosofia di vita è buona e giusta, indiscutibilmente. Se solo non avessi un debole per il junk food li seguirei a ruota.
Poi ci sono gli ambientalisti, quelli che magari la Nutella la mangerebbero pure, ma l’olio di palma è una delle cause principali di deforestazione e morte di centinai di oranghi, che su quelle palme ci vivono. Loro, gli ambientalisti, li capisco ancora di più; so che l’accettazione sociale da adulti non passa più tramite lo sfottò al compagno sfigato ma attraverso le battute da grigliata al collega ecologista, ma oh, c’è chi (tipo me) agli oranghi del Borneo ci tiene e poco importa delle battute che fanno piglio su Twitter. Ma l’olio di palma della Nutella è certificato sostenibile, quindi posso sfondarmi della crema di Alba.
E che dire dei salutisti ambientalisti? Una combo davanti alla quale mi inchino.
Ma ci sono persone che non mangiano Nutella per una motivazione con non comprenderò neanche se a spiegarmelo fosse Dio sceso in terra con il coro di angeli in accompagnamento.
“Perchè non è buona“.
Prego? Non penso di aver compreso.
“Perchè. Non. Mi. Piace“.
-100 g di Nutella
– 1 cucchiaino d’acqua
In una ciotola unisci Nutella e acqua. Mescola e in pochi secondi l’impasto si rapprenderà.
Crea delle piccole palline.
Disponile su un foglio di carta da forno e cuoci a 150°C per 7 minuti.
Prova a farle raffreddare senza assaggiarne neanche una.
Brownies vegani che non sembrano vegani (con variante per antivegani)
Questioni di principio.
Ecco cosa sono; mere questioni di principio.
Lo facciamo da quando siamo piccoli.
“Mhhh…è viscido…non mi piace”.
Così io non ho quasi mai mangiato la Manzotin, i molluschi, la battuta di fassona, il budino, il creme caramel. Il creme caramel! Per anni non l’ho toccato perchè sfuggente al cucchiaino.
Ma il cibo è anche sensazioni, diciamo che può avere intrinsecamente senso scartarne un certo tipo per una consistenza fastidiosa.
Ma conosco due fratelli che non mangiano i pomodori.
E perchè?, ti chiederai.
Perchè sono acidi? No.
Perchè fanno schifo? Ma va’.
Perchè potrebbero essere OGM? Ma figurati.
Perchè sono rossi.
Allo stesso modo non mangiano i kiwi: evidentemente il giorno della creazione della frutta il colore verde è diventato esclusiva della verdura e il rosso della frutta, e loro, la frutta rivoluzionaria non la mangiano.
Ma ecco che da semplice vegetariana curiosa di altre cucine sterzo bruscamente verso l’annosa questione che scuoterà gli animi dei più estremisti: perchè i mangiatori di facoceri non possono ingurgitare una briciola di alimento vegano senza fingere un attacco epilettico per evitarlo? Cos’è questo razzismo culinario?
Una collega una volta ha visto la foto della mia mugcake vegana e mi ha detto: “Sembra buonissima, peccato sia vegana“, come se l’assenza di derivati animali sgretolasse ogni possibilità di sapore gradevole.
Poi l’ha provata e ha capito che il cibo vegano da la nausea se cucinato da mani incapaci.
Ma modestamente, io, le mani incapaci non le ho.
Questi brownies vegani sono vietati ad un solo tipo di persone: le non curiose. Se sei prevenuto non meriti che le tue papille gustative vengano eccitate dal sapore del cacao e dei pezzi di cioccolata che si fondono in bocca; non parliamo della consistenza, umida e sbriciolosa.
Ma sono buona, e se per questione di principio vuoi evitare cibi vegan, puoi comunque sostituire il latte di riso con quello vaccino.
L’abbinamento con una valanga di gelato (vegano o meno) è fortemente consigliato.
Ingredienti
– 150g di farina di farro (o 00)
– 200 g di cioccolato fondente 70% (di cui 150g da fondere e 50g da sminuzzare)
– 150 g di zucchero di canna
– 4 cucchiai rasi di cacao amaro
– 230 ml di latte di riso (o vaccino)
– 5 cucchiai di olio di mais
– 1 cucchiaino di lievito o cremor tartaro
– 1 pizzico di sale
Facoltativi:
– 1 cucchiaino di estratto di vaniglia (o i semi di mezza bacca o 1 bustina di vanillina)
– 200 g di mandorle (o altra frutta secca)
– zucchero a velo
Riscalda il forno a 180°C e fodera una teglia (vedi note).
Avrai bisogno di due ciotole: in una sciogli 150g di cioccolato al microonde (o in un pentolino sul gas) e lascia da parte; nell’altra unisci farina, cacao, zucchero, lievito, il sale e i semi della bacca o la vanillina (se usi l’estratto aspetta il passaggio seguente) quindi mescola.
Aggiungi l’olio, il latte, il cioccolato fuso e l’estratto di vaniglia, poi amalgama.
Infine unisci le mandorle e i restanti 50 g di cioccolato tagliato grossolanamente.
Versa nella teglia e livella la superficie.
Inforna per 40/45 minuti (ma fai la prova stecchino).
Lascia raffreddare e cospargi con zucchero a velo.
Alcune note
Ho usato la farina di farro perchè mi piace il suo retrogusto: se a te fa schifo, non ce l’hai e non hai intenzione di comprarla, sostituiscila tranquillamente con farina 00.
Il latte può essere di qualsiasi tipo: riso, soya, vaccino, mandorle, avena…
La teglia dovrà essere circa:
– quadrata 20cmx20cm
– rettangolare 23×18
– rotonda 23cm di diametro
Libri film e altre cose: riassu-mese marzo 2016.
Il riassu-mese di marzo è degno di questo nome, non perchè riassuma in in modo breve e conciso tutti i libri e film ed eventi che ho letto e visto e vissuto – la concisione non è proprio il mio forte – ma piuttosto perchè è finalmente più ricco di consigli….
2 aprile: giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo.
Domani, 2 aprile, sarà la giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, e potrei non scrivere qualcosa a riguardo, io, con la sindrome di Asperger (che rientra nello spettro autistico)?…