Potrei sintetizzare il deludente riassu-mese di ottobre in tre semplici punti:
- sconforto personale
- Torino inquinata con provincia incendiata
- Appendino ancora sindaca della Mole
Ma ottobre non è stato solo cose deprimenti.
LIBRI
Soffro di bulimia letteraria, in particolare nei momenti di paturnie/tristezza/insoddisfazione mi ingozzo di libri neanche fossero patatine fritte. Una volta capito (perché mi ci è voluto un po’ a comprendere che mettere i romanzi davanti alla vita reale non era proprio una genialata), ho deciso di correggere il tiro. Così dopo un’adolescenza passata a trangugiare i grandi classici invece di limonare in discoteca, ho trovato passatempi alternativi all’isolamento, tipo uscire con gli esseri umani.
Tuttavia questa precauzione ha comportato un affinamento del mio criterio di giudizio letterario, risultando più schizzinoso lui, e rendendo ipercritica me.
Per questo “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara è stato il libro giusto al momento giusto: dopo una serie di letture appena accettabili ho finalmente ritrovato fiducia nella letteratura.
Se non fosse per la paura di ritonfare nella romanzofagia l’avrei finito in due settimane, perché si tratta di un libro divorabile senza sforzo, se escludiamo il tema brutale ed intenso: una storia di amicizia e di amore e di un dolore straziante che prende forma con lentezza, facendoti affezionare ai personaggi e accompagnandoti al loro epilogo. 1091 pagine, quattro amici, tantissimi personaggi e storie percorsi in una quarantina d’anni.
Non è stato il romanzo di cui avrei avuto bisogno in un mese di abbattimento come ottobre, ma è stato così intenso ed emozionante (è il secondo libro per cui ho quasi pianto) che mi ha distratta da tutto il resto.
L’ho scoperto grazie al post di Beatrice di Incorporella (qui trovi la sua recensione senz’altro più completa e minuziosa).
MUSICA
Massì, riassu-mese di coming out, questo: oltre ad essere una bulimica lettaria sono anche un’autolesionista musicale. Ché sarebbe intelligente ascoltare, che so, Il ballo del qua qua o la Macarena quando sono sull’orlo di un pianto oceanico. E invece no. No, io mi cullo sulle note di canzoni strazianti, romantiche e malinconiche che nel giro di due accordi mi proiettano tra vent’anni, brutta, scontrosa in compagnia solo di gatti che neanche mi piacciono.
Ma veniamo alle canzoni strazianti e romantiche e malinconiche.
“Perfect” di Ed Sheeran sintetizza lo strazio, la romanticheria e la malinconia di cui sopra.
DOCUMENTARIO
Da piccola, prima ancora che il suo potenziale estetico fosse notato, avevo una cotta per Alberto Angela; di conseguenza non mi stupisce che la sezione da me più frequentata su Netflix sia quella dei documentari.
Il primo è Minimalism, in cui viene mostrata la realtà dei minimalisti, coloro che decidono di alleggerire e semplificare la propria vita riducendo al minimo, appunto, i beni materiali. Rientrando in quella categoria umana in grado di far fuori il conto in banca da Tiger per le gommine a forma di dinosauro o da Muji per le penne cancellabili, l’ho guardato per morbosa curiosità dell’incomprensibile; ma ho trovato le motivazioni sensate e, soprattutto, non estremiste: conosco la sensazione di sollievo derivata da un armadio dal quale ho eliminato le magliette che “se mi crescerà mai il seno potrei indossare”, e all’incirca il ragionamento è questo: togliere fuori per star meglio dentro. Detto questo da Tiger ho adocchiato degli addobbi natalizi che starebbero divinamente nella mia auto…
Appena cominciato Living on one dollar, ho pensato di aver fatto una pessima scelta: mi sembrava noioso e che i creatori avessero sottovalutato il percorso intrapreso. Alla fine mi è piaciuto e ho quasi pianto (ma è un periodo dal pianto facile). Si tratta di un documentario ideato e girato da quattro ragazzi americani partiti per un villaggio del Guatemale con l’intenzione di viverci per due mesi con il medesimo stipendio degli autoctoni: 1$ al giorno. Come capita di sovente in queste situazioni, i ragazzi instaurano rapporti stretti con gli abitanti del villaggio e scoprono le problematiche di una popolazione ai margini della società.
SERIE TV
E’ uscito Stranger things 2: in questa stagione c’è il solito mood anni ’80, un lievitato Sean Astin con i riferimenti ai Goonies, i costumi e la colonna sonora di Ghostbusters, e una battuta rubata a Jurassic Park. C’è bisogno che sottolinei quanto mi piace?
FILM
Sempre su Netflix ho iniziato The Meyerowitz stories più per le recensioni ed il cast (Dustin Hoffman, Emma Thompson, Ben Stiller) che per la trama. Mi ha annoiata a tal punto da non finirlo.
gynepraio says
Concordo su The Meyerowitz stories: noioso come una domenica di pioggia
Pier(ef)fect says
Un po’ tutti ci crogioliamo con musica triste nei momenti tristi, ma Sam Smith mi pesa su zone in cui non batte il sole in un modo che stento a definire a parole.
Manuela says
Sean Astin è così lievitato che non l’avevo nemmeno riconosciuto! Anch’io ho visto la seconda stagione di Stranger Things e l’adoro 🙂 Mi ispirano molto i due documentari che hai citato, soprattutto Minimalism … vorrei tanto essere una persona minimalista e un giorno ce la farò! Sam Smith mi piace, ma ne sto lontana perchè potrebbe finire male 😉
leparoleverranno says
Sto facendo finta di non aver appena visto il post sui tartufi… questo è il tuo ultimo post, questo è il tuo ultimo post…
Mi segno “Minimalism”, potrebbe essere di ispirazione.
Vacci piano coi dolci, abbi pietà di noi.
Francesca