Se non si fosse capito dalle ultime foto su Instagram, sono appena tornata da Lione.
Il post con i consigli pratici arriverà la prossima settimana, in questa mi limito – come sempre – a divagare.
Non era la prima volta a Lione: c’ero già stata in gita nel 2001 quando, dopo una sbronza allucinante a base di sidro, ho passato i tre giorni successivi a battezzare ogni angolo della città con il mio vomito. Non soddisfatta sono ritornata nel 2010, e stare alla larga dall’alcool non ha evitato di farmi somatizzare i problemi dell’epoca in attacchi d’ansia e mal di testa.
Questa volta, vista l’ultima personale serie di sfortunati eventi, sarebbe stato saggio evitare Lione; ma il mio giudizio è una bussola che punta a sud, per questo ho deciso di contrastarlo e ritornarci per la terza volta con l’Artista e l’Infermiera. Con mia estrema gioia e giubilo ho potuto constatare che sì, c’ho un buonsenso demmerda e un istinto talvolta sottovalutato.
Ma tralasciando il mio passato da aspirante alcolista complessata, Lione meritava cinque ore di Flixbus (sei tenendo in considerazione i controlli severi della gendarmerie al ritorno).
Siamo stati fortunati: per tutta la durata del soggiorno c’è stato il sole (fin troppo) e la casa scelta su Airbnb (questa) era nel cuore della Vieux Lyon, la mia zona preferita; certo la comunicazione con il proprietario non è stata delle migliori, ma l’appartamento era spazioso e il bagno con le luci psichedeliche ci ha fatti soprassedere alla discreta quantità di polvere.
Discorso cibo: vorrei potermi guardare i fianchi e dar la colpa a tutto il grasso ingerito, ma no, quello è solo il bacino largo. Il mio palato ha combattuto contro la voglia incontenibile di croissant che sprizzavano burro da tutti gli strati, e ce l’ha fatta – con fatica, ma ha resistito. A testare i pain au chocolat ci hanno pensato l’Artista e l’Infermiera che su Instagram si sono egocentricamente sottoposti a storie con recensioni di dubbia professionalità.
In cambio gli occhi hanno giovato delle bellezze locali: la basilica di Notre-Dame de Fourvière, i vicoli della Croix Rousse, il cameriere del locale sotto casa… Già, perchè se a Copenhagen le ragazze vincevano sui ragazzi, care/i amiche/i mie/i i lionesi, con quell’aria un po’ bohemien e i colori nordici, battono le concittadine.
Non consiglio Lione solo per gli autoctoni, ma è un degno incentivo.
Ultimo, ma non per importanza, mettiamoci il gusto francese da cui noi avremmo un paio di cose da imparare: il gipsy jazz nei bistrot invece della hit latina in pizzeria, i trentenni che sul lungofiume giocano a bocce sembrando pure fighi; e poi le scritte curate sulle lavagne fuori dalle boulangerie, le magliette a righe, i pic-nic con camembert e baguette. Altro che tupperware con la frittata di pasta in spiaggia…
E’ stato un bellissimo mini viaggio perchè questa volta la città non è stata fonte di problemi ma via di fuga dai problemi.
Parlare francese, il gusto per il bello, il vento che scompiglia i capelli e scuote i pensieri, le risate, le metro sbagliate, il male ai piedi, le guance arrossate, le passeggiate di sera.
Era quello di cui avevo bisogno, ed è quello che, finalmente, sono riuscita ad ottenere a Lione.
Simona says
Sono anni che medito una fuga a Lione, ma 5 (o 6) ore di bus mi stancano solo a pensarci. Preferisco il treno. In ogni caso mi sembra bellissima e le tue foto lo confermano.
Alice says
Flixbus è lento ma economico, con il treno ti partono quasi cifre che neanche un volo intercontinentale. Però confermo il bellissima: è la fuga ideale per due o tre giorni.